La crisi pandemica non è l’unica crisi che stiamo affrontando. È quella climatica, in realtà, ad essere di gran lunga la più catastrofica e urgente. Servono azioni immediate, piani strategici coordinati e di lunga visione, e serve soprattutto innovazione, sia di prodotto che di processo. Certamente abbiamo prova di come le istituzioni, sia europee che italiane, stiano mostrando una rinnovata sensibilità verso i temi ambientali con un aumento notevole degli aiuti fiscali, degli investimenti “sostenibili” e delle normative dedicate.
Ma come si stanno muovendo le imprese italiane a riguardo? Quali sono le filiere e i cluster che più stanno contribuendo all’innovazione e all’avanzamento tecnologico per contrastare gli effetti della crisi climatica?
È questa la domanda da cui siamo partiti nell’ultimo progetto di ricerca di ITALIA COMPETE dedicato all’evoluzione dell’innovazione italiana degli ultimi 20 anni. Ci siamo concentrati sull’analizzare le dinamiche brevettuali delle imprese e dei cluster italiani con l’obiettivo di capire quali, negli ultimi due decenni, abbiano dedicato particolari risorse alle innovazioni “green”. Per farlo ci siamo avvalsi dell’intero database PATSTAT (Worldwide Patent Statistical Database) guardando, più nello specifico, alla categoria brevettuale Y, ossia quella relativa a tutte le “tecnologie di mitigazione del cambiamento climatico”. I cluster regionali italiani sono, invece, stati identificati seguendo la metodologia sviluppata da Michael Porter, Mercedes Delgado e Scott Stern ad Harvard Business School, e selezionati sulla base di alcune soglie dimensionali.
Dai risultati emerge, innanzitutto, un trend positivo degli investimenti green italiani, con sempre più territori e cluster che investono nella “transizione verde” dei propri prodotti e processi. La situazione non è, però, certamente omogenea a livello nazionale, né tra cluster né tra territori, dimostrando performance più o meno interessanti sulla base del contesto specifico in cui le imprese si trovano ad operare.
A tal proposito, la ricerca ha voluto indagare non solo i numeri assoluti ma, in particolare, il grado di specializzazione tecnologica verde di ciascun cluster regionale italiano, sia attuale che futuro. Ovvero si è concentrata sull’analizzare chi ha accumulato negli ultimi vent’anni un’incidenza maggiore di brevetti green rispetto alla media nazionale, e su chi dimostra il maggior potenziale di sviluppo e adozione di tecnologie green per i prossimi cinque anni.
Incrociando queste due variabili ne è scaturita una matrice e quattro categorie di cluster regionali: i green pioneer, gli emerging, gli stagnating e i laggard.
I green pioneer sono quei cluster che hanno iniziato un percorso di transizione verde già nei primi anni del 2000 e che presentano anche le più alte potenzialità per il futuro. In questo quadrante troviamo, ad esempio, il cluster Automotive del Piemonte e quello delle Costruzioni lombardo. Si tratta di cluster che hanno saputo beneficiare di un portfolio di specializzazioni regionale molto ampio e diversificato, ma al contempo correlato dal punto di vista tecnologico.
Le ottime performance dei pioneer sono anche da spiegarsi attraverso la loro evidente capacità di instaurare forti relazioni sia intra- che inter-cluster. In particolar modo, hanno saputo lavorare in sinergia sia con il mondo dei servizi alle imprese e della ricerca, sia con gli attori a monte e a valle della propria supply chain. I servizi e la ricerca, più nello specifico, hanno saputo specializzarsi nello sviluppo di competenze e tecnologie “green” a supporto delle specializzazioni del proprio territorio. In Piemonte, ad esempio, si sono concentrati nello sviluppo di tecnologie per la mitigazione climatica dei trasporti a supporto del cluster Automotive.
Saranno proprio questi i meccanismi attraverso cui si potranno trascinare sia gli emerging cluster che gli stagnating verso il quadrante dei pioneer. Soltanto grazie a progettualità comuni, costruite su complementarità di filiera e tecnologiche, si potranno aiutare cluster come quello degli Elettrodomestici in Veneto o quello della Carta e imballaggi in Abruzzo a confermare (e migliorare) le performance innovative dei prossimi anni.
La transizione verde è una partita molto complessa, da giocarsi in sinergia e collaborazione con una molteplicità di attori e con a disposizione un pool eterogeneo di capacità, conoscenze e talenti. Le performance migliori si riescono, infatti, ad ottenere solo laddove lo sforzo è trasversale, di filiera e collaborativo.
Se guardiamo agli ambiti settoriali del Made in Italy, risulta evidente come la sostenibilità passi da altre forme di innovazione, più legate alla ridefinizione dei modelli di business in ottica, ad esempio, di economia circolare. Da un punto di vista tecnologico, invece, nonostante le ottime performance brevettuali di alcuni cluster – quali il Tessile e l’Abbigliamento lombardo e il Calzaturiero veneto – la transizione verde non sembra essere una priorità nelle agende strategiche e innovative.
Fernando Alberti, Federica Belfanti e Massimo Riva (Università Carlo Cattaneo LIUC, Strategique)