In qualità di associazione che ha l’obiettivo di favorire un eco-sistema del trasferimento tecnologico e dell’innovazione, appare quanto mai coerente con lo scopo associativo porre l’attenzione alle nuove aziende technology based che hanno un potenziale impatto nelle filiere del made in Italy.
Nell’ultimo decennio, peraltro, in Italia si è assistito ad un’importante crescita del numero delle startup innovative, dei principali intermediari specializzati (come parchi, incubatori, acceleratori, facilitatori), degli investitori (business angels, venture capital, ecc.) e si è creato un più avanzato ecosistema dell’innovazione che ha determinato dei risultati interessanti anche nel nostro Paese.
In uno scenario produttivo in cui il mantenimento del vantaggio competitivo è fortemente determinato dalla capacità d’innovazione e dove tale prerogativa sta divenendo via via più complessa per fenomeni come: la fusione e la trasversalità delle tecnologie, la riduzione del ciclo di vita dei prodotti, la competizione internazionale, ecc., il mondo industriale ha via via intensificato le modalità di integrazione con il cosiddetto startup ecosystem.
La collaborazione tra startup innovative ed imprese mature è una prassi ormai applicata in pressoché tutti i settori industriali ed interpretata da un numero crescente di organizzazioni che, partendo dalle grandi multinazionali hi-tech, ha via via interessato le imprese medie e piccole, appartenenti ai settori più tradizionali.
Per vincere le sfide dell’industria 4.0, per rilanciare la capacità competitiva attraverso la digitalizzazione dei processi produttivi, le aziende stanno cercando competenze anche fuori dal proprio perimetro, lavorando congiuntamente ad una pluralità di attori appartenenti a: mondo della ricerca, startup, ambito della finanza e istituzioni.
Attraverso vari strumenti di open innovation e corporate venturing, aziende consolidate e startup hanno l’opportunità di scambiarsi risorse strategiche, generare reciprocamente opportunità e determinare modelli originali di trasferimento tecnologico e sviluppo dell’innovazione.
Le startup hanno evidenti interessi a sviluppare partnership industriali e di business con le aziende italiane del made in Italy, generalmente dotate di elevata riconoscibilità ed apprezzamento sui mercati internazionali. Viceversa, le startup possono rappresentare un eccezionale partner per testare e validare tecnologie, modelli di business, e per affrontare agilmente progetti particolarmente innovativi.
Appare estremamente stimolante analizzare le case history dei modelli di innovazione aperta nell’affrontare le nuove e complesse sfide industriali e di sostenibilità delle filiere made in Italy. Nel corso delle mie attività come responsabile di iniziative di startup acceleration e open innovation ho conosciuto una moltitudine di iniziative, spesso interessanti anche per delle riflessioni generali.
Nel mondo del Made in Italy, si stanno mettendo in evidenza una serie di startup che tentano di offrire soluzioni a tematiche di grande impatto. Per fare solo qualche esempio, fra quelli che ho incontrato negli ultimi mesi, posso annoverare nel perimetro della sostenibilità ed economia circolare: Fili Pari, azienda che utilizza polveri di marmo per produzioni abbigliamento, o Orange Fiber, che produce tessuti dagli scarti delle bucce di arance.
Non mancano i progetti impegnati nelle tecnologie indossabili e di funzionalizzazione dei materiali, come ad esempio: AccYouRate; o anche startup che propongono soluzioni digitali, con forte impatto nella trasformazione dei modelli di business, come ArteMes o Mirta, piattaforme di e-commerce per artigiani del lusso Made in Italy; infine i casi di Velasca o Design Italian Shoes, per la vendita on-line di calzature personalizzate made in Italy.
Consapevoli delle opportunità di scouting tecnologico e di sviluppo di progetti di co-innovazione, sono sempre più numerose le aziende consolidate che si organizzano per creare degli hub d’innovazione, attraverso proprie strutture e team che promuovono call for innovation, hackaton, ecc. Alcuni esempi possono essere: il Gruppo Miroglio, con la sua divisione di open innovation; Albini, con Albini Next; Il Gruppo Radici, con Radici Innova, e così via.
In una prospettiva generale e di più ampio accesso a pratiche di open innovation, anche per le PMI del sistema made in Italy, le esperienze che stanno sperimentando alcuni attori più avanzati rischiano di avere un impatto parziale. Gli studi su tali fenomeni hanno segnalato l’esigenza di attori che possano favorire la formazione di adeguate strutture inter-organizzative, l’aggiornamento delle competenze e la creazione di nuovi luoghi di aggregazione e trasferimento delle conoscenze.
I cluster nazionali possono rappresentare idonei sistemi organizzativi e cognitivi per facilitare una diffusione più sistemica di tali politiche, grazie alla capacità di interpretare percorsi di coinvolgimento interdisciplinare e ad ampio spettro, attraverso la collaborazione tra partner differenti (accademici, imprenditoriali, territoriali, e così via) e potrebbero svolgere un ruolo di broker nel trasferimento di conoscenze e nella costruzione di progetti tra differenti esperienze, filiere, territori.
Il mio personale auspicio è che il Cluster made in Italy possa interpretare adeguatamente tale opportunità e proporsi come attore primario per supportare un modello diffuso di trasferimento tecnologico e sviluppo delle innovazioni.
Giuseppe Iacobelli (Cluster MinIt).