Mentre prosegue e si anima il dibattito sull’evoluzione delle professioni e delle competenze del futuro, sempre più frequentemente si susseguono “accorati” appelli di associazioni datoriali e di imprenditori alla ricerca di tecnici che non si trovano.
Questo contrasto stride: dobbiamo investire e orientare le nostre politiche sull’istruzione e la formazione pensando al futuro o dobbiamo tener conto anche della domanda dell’oggi?
Probabilmente non esiste una risposta univoca. Tuttavia la forte esigenza espressa dalle imprese deve essere analizzata attentamente e per farlo prendiamo come riferimento il contesto del Veneto.
Le statistiche dicono chiaramente che uno dei principali punti di forza della regione è l’alta vocazione manifatturiera: una grande e sempre più evoluta fabbrica, con una elevata presenza di aziende B2B, che producono (o forse è meglio dire collaborano, co-progettano…) per grandi clienti, spesso multinazionali che presidiano il mercato finale dei consumatori.
Le aziende venete, ma si può estendere questa riflessione a tutto il Nord Est, sono nate e hanno trovato il loro sviluppo partendo da una profondissima conoscenza del prodotto. Una conoscenza tecnica che unita alla flessibilità e intraprendenza ha condotto allo sviluppo di un territorio che si colloca tra le regioni maggiormente avanzate in Europa.
E’ evidente come questa tipologia di aziende, in cui trovano occupazione 700.000 lavoratori, necessiti soprattutto di competenze tecniche.
Nonostante questo scenario sia piuttosto chiaro, per molti anni sia nelle famiglie che nel mondo dell’istruzione si è assistito a un progressivo fenomeno di “disorientamento”: con l’affermarsi di una cultura anti tecnica, che considera molte professioni non più adeguate a giovani di un Paese avanzato, si è ottenuto il risultato di formare figure spesso non adeguate rispetto alle esigenze del mondo del lavoro, creando un solco sempre più profondo tra domanda e offerta di lavoro.
Questa affermazione forse sin troppo drastica, trova però molte conferme se analizziamo ad esempio il mondo della moda.
Moda, made in Italy, design: sono tutti concetti che sono fortemente legati al nostro Paese. La realtà è che il Made in Italy nella moda e in particolare nel lusso viene prodotto quasi esclusivamente in Italia ma lo vendono sempre più “gli altri”, grandi multinazionali straniere che detengono (e continuano ad acquisire) decine di celebri brand italiani.
La globalizzazione dei mercati ha portato in realtà ad una radicalizzazione di questo fenomeno: da un lato la migrazione di molte produzioni di livello medio basso dall’Italia verso altri Paesi con minor costo del lavoro, dall’altro la scelta di molte aziende – che hanno continuato a produrre in Italia – di abbandonare progressivamente il marchio proprio per produrre per (grandi) terzi nel mercato del lusso. Queste aziende sono delle vere e proprie miniere di elevatissime competenze specialistiche e non a caso i più importanti brand del mondo hanno deciso di affidarsi a loro per le produzioni di maggior qualità.
Le conseguenze sul mercato del lavoro sono state evidenti: tessile e abbigliamento in particolare hanno fatto registrare vere e proprie emorragie di posti di lavoro. Ma associata a questo fenomeno, si è verificata una enorme dispersione di competenze che ha portato a un impoverimento di un territorio che proprio su queste competenze aveva creato il proprio modello di sviluppo. Viceversa, in altri settori quali la calzatura classica, la scelta di allearsi con le multinazionali del lusso ha portato a una tenuta e addirittura a una crescita occupazionale.
L’evoluzione degli scenari economici va però associata a un altro fenomeno sociale estremamente preoccupante: l’invecchiamento. Nel solo settore della moda veneto circa 20.000 dei 60.000 lavoratori complessivi sono over 50 e la situazione non è diversa negli altri settori economici.
Se analizziamo il lato offerta, lo scenario se possibile è ancor più preoccupante: gli istituti tecnici presenti in regione fanno registrare un progressivo calo di iscrizione nelle specializzazioni tecniche. I giovani sono fortemente attratti dalla professione del fashion designer, ma proprio per le considerazioni sin qui effettuate in questa regione (e con alcune eccezioni in tutto il nostro Paese) questo mercato non assorbe tutti coloro che escono dal ciclo di istruzione. La rapidità dei cambiamenti in molte professioni, fa inoltre porre seri dubbi circa la reale preparazione della classe docente e soprattutto sulle modalità con cui viene effettuato l’aggiornamento delle competenze.
Alla luce di tutte queste considerazioni, senza la pretesa di fornire soluzioni a un non semplice problema, ci limitiamo a suggerire alcune azioni da intraprendere, evidenziando come sia indispensabile un maggior coinvolgimento di tutti gli stakeholders interessati, inclusi gli imprenditori e le imprese.
- Orientamento per contrastare il disorientamento.
E’ evidente come sia indispensabile una maggiore azione di orientamento rivolta ai giovani e alle famiglie. Oltre ai numeri (che parlano da soli) va anche raccontato come gli ambienti di lavoro delle aziende siano profondamente cambiati. In particolare nella moda, sono sempre più numerose aziende che offrono ambienti di lavoro moderni, sicuri e di grande appeal. Senza poi trascurare che molte professioni offrono livelli retributivi assolutamente significativi.
- Azioni specifiche sui programmi didattici e sui docenti
Gli istituti tecnici debbono essere oggetto di un profondo ripensamento e riammordenamento: vanno adeguati i programmi didattici rispetto alle attuali esigenze delle imprese, va istituita una forma di “alternanza” che coinvolga anche i docenti. Se non vi sono all’interno degli istituti risorse con competenze tecniche elevate e aggiornate, dovrebbe poter essere consentito il ricorso anche a esperti del settore, analogamente a quanto avviene negli ITS.
- Formazione tecnica “arricchita”
In un mondo con questa velocità di cambiamento, non si deve nemmeno essere troppo condizionati solo dalle esigenze attuali del lavoro. Una base di formazione tecnica è certamente indispensabile, indipendentemente da quanto le macchine potranno sostituire il lavoro dell’uomo. Questa conoscenza va però ibridata non solo con competenze trasversali ma anche con competenze digitali. Una forma di istruzione certamente funzionale e coerente con queste esigenze sta nelle Fondazioni ITS. In un percorso biennale, che consente di effettuare periodi di alternanza scuola lavoro, vi è la possibilità non soltanto di fornire la conoscenza dell’oggi ma di guardare oltre, anticipando alcune competenze e conoscenze che saranno necessarie in futuro. Va però evidenziato che a tutti i livelli e in tutti i ruoli, sarà sempre più necessario adottare un’ottica di lifelong learning.
- Politecnico della moda
Per avere maggiore impatto e sistematicità, è opportuno affidare queste azioni a soggetti che possiedano alcuni requisiti: essere privati ma con finalità istituzionali, avere una sede fisica e possibilmente attrattiva, abbiano attive partnership in progetti internazionali di ricerca nel settore, siano a stretto contatto con le imprese e eroghino formazione a favore di giovani e occupati presidiando tutta la filiera formativa. La best practice in Veneto esiste già e si chiama Politecnico Calzaturiero.
Stefano Miotto (Assocalzaturifici Confindustria Veneto).