La Commissione europea ha presentato il 30 marzo 2022 una comunicazione sulla strategia dell’UE per un settore tessile sostenibile e circolare (COM(2022) 141). Questa dichiarazione strategica dispiegherà pienamente i suoi effetti nell’arco dei prossimi 4-6 anni, delineando un percorso importante e stimolante per le industrie manifatturiere e i mercati dell’UE.
Il punto di partenza sono alcune non banali affermazioni sull’impatto ambientale dei prodotti moda (citiamo dalla Comunicazione):
- dal 2000 al 2015 la produzione mondiale di tessili è raddoppiata e il consumo di indumenti e calzature è salito a 62 milioni di tonnellate all’anno ed è previsto di raggiungere i 103 milioni di tonnellate nel 2030
- dal 1996 al netto dell’inflazione i prezzi dell’abbigliamento sono scesi del 30% ma la spesa media delle famiglie è cresciuta senza beneficiarne, anzi.
- nell’UE il consumo di tessili rappresenta il quarto maggior impatto negativo sull’ambiente e sui cambiamenti climatici
- ogni anno nell’UE vengono scartate 5,6 tonnellate di tessuti (principalmente inceneriti o collocati in discarica), pari a circa 11 kg a persona.
- l’abbigliamento rappresenta la quota più rilevante del consumo tessile (81%) e la tendenza a utilizzare i capi per periodi sempre più brevi prima di buttarli via contribuisce “ai modelli più insostenibili di sovraproduzione e sovraconsumo”.
Secondo la comunicazione, ciò richiederà soluzioni sistemiche in linea con l’ambizione del Green Deal europeo di “rendere la crescita sostenibile, climaticamente neutra, efficiente dal punto di vista energetico e delle risorse e rispettosa della natura e costruita attorno a un’economia pulita e circolare” perché il tessile è “una catena del valore chiave con un bisogno urgente di cambiamento ma con un forte potenziale per la transizione verso modelli di produzione, consumo e business sostenibili e circolari”. Cioè abbiamo grandi difficoltà ma anche grandi potenziali.
Di conseguenza la Commissione UE sottolinea la necessità di intraprendere alcune iniziative che non possono essere rinviate e che saranno attuate nei prossimi anni, per lo più attraverso azioni legislative già programmate o in corso, fissando:
- requisiti obbligatori di ECO-Design (sia dal lato della produzione, ad esempio composizione, trattamenti, prodotti chimici; che dal lato dell’utilizzo, ad esempio durata, riparabilità, riutilizzabilità da fibra a fibra…)
- divieto di distruzione della produzione invenduta per gli attori delle grandi imprese e responsabilità dei produttori per tutta la filiera, fino alla gestione dei rifiuti (quindi anche promozione di modelli di business e filiere in grado di ridurre gli sprechi e la carbon footprint del prodotto)
- restrizioni sulla esportazione di rifiuti tessili fuori dalla Unione Europea.
- riduzione dell’inquinamento da microplastica, anche da lavaggio ( adoggi le sole acque di lavaggio rilasciano 40.000 tonnellate di fibre sintetiche all’anno)
- introduzione del Digital Product Passport con obbligo di divulgazione di informazioni relative a circolarità e sostenibilità
- lotta contro le false dichiarazioni verdi (“green claims”), con severe restrizioni sulle condizioni che consentono qualsiasi tipo di dichiarazione verde – schemi volontari come EcoLabel e PEF svolgeranno un ruolo rilevante come metodi per l’attuazione di tale strategia
- responsabilità estesa del produttore con eco-modulazione delle tassazioni (richiederà una completa tracciabilità dei processi produttivi e dei loro impatti, nonché di progettare il riutilizzo del prodotto dopo la sua fine vita fin dall’inizio)
- altre disposizioni legislative, in materia di Green Public Procurement, revisione dell’Ecolabel, miglioramento della vigilanza del mercato, revisione del Regolamento Fibra, ecc.
Sarà inoltre attivato uno sforzo sulla regolamentazione del commercio (impedendo l’importazione di prodotti non conformi ai requisiti minimi così delineati) e si tenterà di trovare un aggiornato paradigma in relazione alla rapida evoluzione delle tendenza della moda. La frase “Driving fast fashion out of fashion” (letteralmente “condurre il Fast Fashion fuori dal Fashion”) rappresenta il sentimento della Commissione sul futuro di questo segmento della produzione. L’obiettivo sarà perseguito gradualmente, ma con decisione: alla Comunicazione è allegato un calendario di attuazione con date che non vanno oltre il 2024.
E’ un insieme di sfide rilevanti che saranno attuate nei successivi anni. I prossimi passi dettaglieranno i requisiti e le modalità di attuazione di queste affermazioni attraverso Direttive o Regolamenti UE, non semplicemente Raccomandazioni ai legislatori nazionali.
Attualmente è già partita la preparazione e discussione di regolamenti europei in materia, ad esempio in sugli “ecodesign requirements for sustainable products”, un regolamento che verrà declinato con indicazioni specifiche per varie categorie merceologiche tra cui tessile.
Nell’attesa del maturarsi di questi passi l‘industria deve sicuramente accelerare la sua preparazione a raccogliere tali sfide: ognuno di questi nuovi requisiti richiede un ripensamento dei processi e delle relazioni delle filiere del settore; la digitalizzazione svolgerà un ruolo importante nel renderli fattibili e accessibili anche a piccole organizzazioni.
La novità comunque è uno spostamento dall’attuale scenario in cui solo pochi marchi di segmenti di mercato più elevati (e con maggiori margini di guadagno) hanno messo in campo politiche che affrontano (alcune di) queste sfide, su base volontaria e guidata dal mercato, verso un nuovo scenario in cui ci saranno requisiti obbligatori per qualsiasi prodotto tessile, con la necessità di infrastrutture informatiche economiche e disponibili per tutte le aziende.
Piero De Sabbata, Cristina Naccarato (ENEA)