L’industria della moda è la più inquinante al mondo, producendo il 10% delle emissioni globali di CO2. Solo nell’abbigliamento ogni anno vengono prodotti oltre 150 miliardi di capi e il 30% di questi rimane invenduto a fine stagione. Ma ha senso produrre così tanto se poi dobbiamo gettarlo in discarica? La produzione di massa e la delocalizzazione produttiva hanno creato nell’ultimo decennio brand globali basati sul concetto di “fast fashion”, dove le collezioni non sono più stagionali ma bisettimanali, amplificando i costi di produzione di prototipi e campioni.
Il Made in Italy è spesso sinonimo di lusso e artigianato, concetti che non si sposano con velocità. Nella lettera aperta del 2020 a WWD Giorgio Armani ha affermato: “Luxury cannot and must not be fast. It makes no sense for one of my jackets to live in the shop for three weeks before becoming obsolete, replaced by new goods that are not too different”. Un brand Made in Italy dovrebbe creare collezioni “timeless”, abbracciando un concetto di “slow fashion”, dove si mira a produrre di meno rendendo il proprio brand più sostenibile.
Oggi la tecnologia 3D può aiutare un brand della moda (e non solo) ad essere più sostenibile. Grazie ad un configuratore 3D di prodotto, un brand può tagliare del 70% i costi di produzione del campionario. Virtualizzando i modelli in 3D e digitalizzando i materiali con un campione di materiale di 10cm2, l’ufficio stile potrà visualizzare tutte le varianti colore/materiale senza produrle fisicamente e la rete agenti potrà vendere la collezione avendo a disposizione un campionario fisico più contenuto. Anziché produrre un campionario di 1000 pezzi, andrò a realizzare un campione fisico per ogni modello della mia collezione (100 pezzi) per far percepire la qualità della manifattura italiana e presentare in maniera virtuale le altre 900 varianti colore/materiale.
Utilizzando sempre lo stesso file 3D, è possibile tagliare del 90% i costi di fotografia, generando render in alta qualità da varie angolazioni in sostituzione agli still life di prodotto. Il vantaggio si amplifica in prodotti o posizioni difficili da scattare, come ad esempio l’interno di una borsa, dove grazie al virtuale è possibile simulare la scena 3D. Senza considerare tutte le emissioni di CO2 che vengono risparmiate per la mancata movimentazione della merce, che non deve essere spedita dal magazzino allo studio fotografico per poi arrivare nello showroom ed essere spedita nuovamente alle varie fiere stagionali.
La qualità dell’output 3D ha fatto già passare molti brand ad un approccio completamente virtuale, creando contenuti ambientati in 3D e indossati virtuali, contendo al massimo la parte di shooting fotografici.
Esempio di foto ambientata in 3D
Se da una parte, grazie al 3D, possiamo rendere un brand più sostenibile, dall’altra lo rendiamo più innovativo, proponendo esperienze d’acquisto più ingaggianti.
La scheda prodotto di un e-commerce può evolvere inserendo un 3D viewer che permette non solo di visualizzare in 3D il mio prodotto ma di vederlo in realtà aumentata nell’ambiente in cui sono o indossarlo virtualmente con un’esperienza di “virtual try on”. Brand che utilizzano tali soluzioni hanno aumentato del 65% il tempo di permanenza di un utente nella pagina prodotto e del 40% il conversion rate dell’ecommerce. Brand che invece propongono collezioni made to order o made to measure, utilizzano configuratori 3D di prodotto per migliorare l’esperienza d’acquisto nei negozi fisici e ottimizzare il processo di gestione dell’ordine.
In conclusione, adottare un approccio “3D centrico” aiuta un brand della moda ad essere più sostenibile, tagliando i costi di fotografia e del campionario, riducendo le emissioni di CO2 e innovando la customer experience.
Andrea Carpineti (Future Fashion)